GAZZETTA DI PARMA – INSERTO “ECONOMIA” – 15 febbraio 2021
La direttiva europea sulle pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese della filiera agricola ed alimentare (direttiva UE 633/2019), dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 1 maggio 2021.
Gli squilibri commerciali nell’agroalimentare
In tutti i settori si verificano pratiche commerciali sleali e così anche nella filiera agroalimentare europea dove i piccoli-medi produttori sono sottoposti a pressioni economiche da parte di grandi società nazionali e multinazionali, oltre che a supermercati e rivenditori, che sfruttano il loro potere contrattuale per sottoporre ad indebite pressioni economiche le piccole e medie imprese (PMI) che non dispongono di un potere contrattuale sufficiente, inducendole a stipulare accordi commerciali spesso svantaggiosi ed iniqui. Tali pratiche commerciali scorrette minacciano la sopravvivenza dei piccoli produttori locali e scoraggiano le piccole imprese dall’apportare investimenti in prodotti e tecnologie nuovi e dall’accedere ai nuovi mercati internazionali. Alla luce di tali squilibri e nell’ottica di armonizzare le normative nazionali dei Paesi Membri dell’Unione, fin dal 2016 la Commissione Europea ha istituito una task force sui mercati agricoli (AMTF) per valutare il ruolo degli agricoltori nella più ampia catena di approvvigionamento alimentare e formulare raccomandazioni sulle modalità di rafforzamento e, dopo soli due anni, ha altresì avanzato la proposta di introdurre una nuova direttiva in contrasto delle pratiche commerciali sleali nella catena di approvvigionamento alimentare. Tale direttiva 633/2019 è stata poi approvata dal Parlamento UE e dal Consiglio nell’aprile 2019 con lo scopo di assicurare un trattamento più equo ed equilibrato ad agricoltori e piccole e medie imprese operanti nell’agroalimentare europeo. Secondo alcune stime, la nuova direttiva proteggerà il 100% degli agricoltori e il 97% delle aziende agroalimentari dell’Unione, con un margine d’applicazione talmente ampio da includere tutte le aziende aventi un fatturato inferiore di 350 milioni di euro. Per la prima volta, saranno proibite su tutto il territorio dell’UE ben 16 pratiche commerciali sleali imposte unilateralmente da un partner commerciale a un altro.
I divieti imposti dalla direttiva
Con 44 “considerando” iniziali e 15 articoli, la direttiva 633/2019 si pone come obiettivo quello di contrastare le pratiche che si discostano nettamente dalle buone pratiche commerciali, quelle contrarie ai principi di buona fede e correttezza e/o quelle imposte unilateralmente da un partner commerciale alla sua controparte (Art. 1.1.). Nella normativa viene previsto un vero e proprio elenco minimo di pratiche commerciali sleali vietate nelle relazioni tra acquirenti e fornitori lungo la filiera agricola e alimentare, stabilendo un fondamento giuridico basilare sul l’applicazione di tali divieti nonché disposizioni per il coordinamento tra le autorità di contrasto. L’ambito di applicazione della direttiva, così come sancito dall’art 1, si estende a tutti gli acquirenti diversi dai consumatori da una parte e dai fornitori dall’altra, questi ultimi da intendersi come qualsiasi produttore agricolo, sia esso persona fisica o giuridica, che commercializza prodotti agricoli ed alimentari. Secondo l’art. 3 – comma 1, sono vietati a priori le pratiche commerciali sleali quali, tra le più considerevoli, i ritardi nei pagamenti oltre 30 giorni per i prodotti alimentari deperibili e 60 giorni per gli altri prodotti (lett. a), gli annullamenti di ordini con breve preavviso tale da impedire al fornitore una commercializzazione o un utilizzo alternativo (lett. b), le modifiche unilaterali ai contratti da parte dell’acquirente delle condizioni di un accordo di fornitura (lett. c), la restituzione di prodotti invenduti o sprecati, il pagamento da parte dei produttori di importi a copertura dei costi di commercializzazione sostenuti dall’acquirente (lett. e), il rifiuto dell’acquirente di stipulare per iscritto un accordo proposto dal fornitore a conferma della fornitura (lett. f), l’acquisizione, utilizzazione e divulgazione illecite da parte dell’acquirente dei segreti commerciali del fornitore (lett. g), la minaccia da parte dell’acquirente di mettere in atto o l’avere messo in atto ritorsioni commerciali nei confronti del fornitore quando quest’ultimo esercita diritti contrattuali e legali di cui gode (lett. h). Se il comma 1 dell’art. 3 stabiliva divieti a priori, indipendentemente dai singoli accordi tra le parti, il comma 2 del medesimo articolo statuisce invece che gli Stati membri debbano adottare una normativa che consideri la possibilità di convalidare alcune pratiche commerciali ritenute preliminarmente vietate – quali ad esempio la restituzione al fornitore di prodotti agricoli e alimentari rimasti invenduti, senza corresponsione di alcun pagamento o la richiesta al fornitore di pagare i costi della pubblicità, del marketing, del personale incaricato alla vendita – qualora queste siano state concordate in termini chiari ed univoci nell’accordo di compravendita tra il fornitore e l’acquirente o in altro accordo successivo.
Il recepimento della normativa europea in Italia
La direttiva europea 633/2019 è stata recepita attraverso la legge di delegazione europea 2019-2020 in cui il Parlamento italiano, dopo aver approvato i princìpi ed i criteri direttivi in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese dell’agroalimentare, ha altresì delegato al Governo italiano la promulgazioni di leggi ad hoc e la modifica di quelle già esistenti nel panorama normativo italiano. L’intera normativa sulla commercializzazione dei prodotti agricoli ed alimentari dovrà dunque essere revisionata alla luce delle nuove disposizioni europee, ed in particolare alla luce della disciplina prevista dell’art. 62 del decreto legge n.1 del 2012 (c.d. decreto Cresci Italia), convertito in legge con L. n. 27 del 2012 e poi modificato dal decreto legge n. 51 del 2015 in materia di contratti e relazioni commerciali relativi a cessioni di prodotti agricoli e alimentari e nel relativo, ivi compresa la revisione del relativo regolamento di attuazione. I Paesi membri, tra cui l’Italia, avranno tempo fino al 1 maggio 2021 per recepire la direttiva e fino al 1 novembre 2021 per attuarla pienamente, tutelando così migliaia di PMI italiane che operano quotidianamente nella produzione di beni agroalimentari di qualità, incluse DOP/DOC/IGP, e ristabilendo un equilibrio economico tra piccoli e grandi partner commerciali. In attesa del recepimento in Italia della direttiva sarà comunque auspicabile che le aziende rivedano gli accordi di fornitura tra imprese operanti nella filiera alimentare onde verificarne la compatibilità con la nuova direttiva, individuando le eventuali clausole di contrasto nonché valutando un’integrazione degli accordi già stipulati con le nuove disposizioni attuative italiane.
Francesco Maria Froldi
Quid Juris?- Studio Legale Associato